Partorire e nascere ai tempi di COVID – di Patrizia Quattrocchi
Divulgazione
ELZEVIRO – 12 GIUGNO 2020
Partorire e nascere ai tempi di COVID
di Patrizia Quattrocchi
"Che l'emergenza sanitaria non sia un pretesto per far ritornare a casa le donne". Così si è espressa qualche giorno fa in una intervista la Presidente del Senato Alberti Casellati.
Parole politicamente dense e storicamente ancorate in disuguaglianze di genere che connotano fortemente le nostre società contemporanee. Si riferivano alle modalità di lavoro smart; una condizione che ha trasformato la giornata domestica in ciò che gli antropologi chiamano esperienza multi-situata, in cui si è qui (al lavoro) e altrove (con i figli, ecc.) allo stesso tempo.
Essere qui e altrove: come quando si partorisce. Sarà che di nascita mi occupo da tanti anni, ma quelle parole mi hanno subito riportato a come si partorisce e si nasce ai tempi del COVID. Un tema complesso, che implica non solo politiche, pratiche e protocolli; ma anche poteri, saperi, rappresentazioni e immaginari che richiederanno attenta analisi nei prossimi mesi. Che l'emergenza sanitaria non sia un pretesto per retrocedere nei diritti acquisiti anche nel parto e nella nascita, mi verrebbe da dire, parafrasando la Casellati.
Dall'Argentina alla Spagna, dall'Italia agli USA, le raccomandazioni dell'OMS – attente alla sicurezza delle donne incinte, ma anche all'importanza di preservare il diritto alla nascita rispettata – sono parse a volte disattese. La maternità rispettata (Respectful Maternity Care) non è uno slogan. È una strategia, ben definita in numerosi documenti e basata su evidenze scientifiche. Rimanda al diritto della donna di godere di un'esperienza positiva durante il parto, nel rispetto della sua dignità, della privacy e del suo processo, unico ed eccezionale (WHO 2018). Durante la pandemia, l'OMS ha ribadito che "tutte le donne hanno il diritto ad una esperienza positiva del parto, sia o meno confermata l'infezione COVID-19". Tutte, cioè, hanno diritto alla presenza di un compagno, a una informazione chiara, alla libera posizione durante il travaglio e il parto, al supporto all'allattamento e alla non separazione dal bambino.
Molte donne si sono viste negare la presenza del partner durante il travaglio e il parto, la possibilità di tenere con sé il neonato e di allattare. A volte, non sono state date loro spiegazioni esaustive ("è per il Coronavirus"), come mostrano i dati emergenti nei vari paesi. Chi ripagherà di un'esperienza unica quel padre che non ha potuto assistere alla nascita del suo bimbo, nonostante le linee guidano lo prevedano, anche ai tempi del Coronavirus? Chi ridarà a quella madre l'emozione dei primi sguardi del suo piccolo, non esperiti per un allontanamento "preventivo"? E chi curerà le ferite fisiche e simboliche dei cesarei non necessari effettuati ai tempi del COVID?
La sensazione è che ancora una volta l'approccio tecno-medico non riesca ad accogliere la "curvatura dell’esperienza": la capacità di ampliare il proprio sguardo per comprendere dimensioni altre. Il concetto di sicurezza – anche in tempi di emergenza sanitaria – va ben oltre i "fattori di rischio" contemplati. Rimanda a uno sguardo integrale, bio-psico-sociale e culturale, in cui anche il supporto del partner o il sorriso fiducioso dell'ostetrica costituiscono a loro modo "dispositivi di sicurezza". Permettono alla donna di sentirsi a suo agio ("sicura", appunto) e di lasciarsi andare fisicamente ed emotivamente a un processo tanto complesso e tanto semplice allo stesso tempo, come quello della nascita.
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