Didattica e/a distanza – di Silvia Contarini
Divulgazione
ELZEVIRO – 18 MARZO 2020
Didattica e/a distanza
di Silvia Contarini
In questi giorni difficili, gli psicoanalisti della PSI si sono interrogati a lungo, fra di loro e in interventi pubblici, sulle forme che assume il setting analitico classico nel momento in cui si è costretti ad adottare una modalità virtuale. L’interazione a distanza, infatti, modifica profondamente il lavoro analitico in sé, influenzando il percorso e i contenuti del discorso anche a livello inconscio.
Fatte le debite differenze, qualcosa di simile avviene anche nelle nostre lezioni, quando si è costretti dall’emergenza ad adottare (sottolineo costretti, perché la libera scelta dell’e-learning è evidentemente un’altra questione) una modalità telematica in luogo delle tradizionali lezioni in presenza. Anche la lezione universitaria comporta la costruzione di un setting, che implica una tensione comunicativa – non solo intellettuale ma empatica – fra chi parla e chi ascolta, e anche su questa relazione si gioca la riuscita della didattica nel trasferimento delle conoscenze, che non è di natura meccanica, né passiva. Docenti e studenti collaborano alla costruzione della lezione e alla sua possibilità di innescare nuovi percorsi, lavorando non solo su ciò che è noto, ma sulla scoperta del nuovo, che avviene anche attraverso l’attivazione di processi di natura empatica. Quando alla fine degli anni Sessanta Hans Robert Jauss, il fondatore dell’estetica della ricezione, coniava la definizione di “orizzonte d’attesa”, riconosceva implicitamente alle emozioni dei lettori, alla loro esperienza diretta di coinvolgimento nell’ascolto del testo, una parte fondamentale del discorso ermeneutico. Non è un caso che Jauss affrontasse il discorso negli anni in cui aveva inizio la cosiddetta università di massa: tanto più oggi, dinanzi a un pubblico di studenti quanto mai frastagliato per provenienza, competenze, consapevolezza, la mediazione del docente va intesa in maniera attiva. Consiste cioè nella sua capacità di costruire la relazione didattica influendo su quell’orizzonte d’attesa: non per confermarlo, ma per insinuare i dubbi, le inquietudini e le tensioni che ogni trasmissione del sapere comporta. La didattica universitaria implica dunque non solo le conoscenze pregresse del docente, la sua abilità nel comunicarle dal punto di vista professionale, ma anche la sua capacità di costruire una relazione didattica, impossibile senza il confronto con gli studenti e la loro collaborazione alla nascita della lezione. È qui infatti che didattica e ricerca si incontrano: senza l’apporto della ricerca la didattica universitaria si trasforma in ripetizione di contenuti; e d’altro canto l’esposizione sul piano didattico delle questioni su cui si lavora consente di metterle alla prova, di tornarci sopra in altro modo, saggiandone la validità e mostrando agli studenti che ogni ipotesi di lavoro è il frutto di un percorso: la lezione universitaria è anche un laboratorio di conoscenze.
Per questi motivi – oltre che per i problemi messi in luce da Gallerani nel suo articolo ne Le parole e le cose, su cui tutti dovremmo riflettere – ho deciso di non registrare le lezioni in streaming. Ascoltare la lezione dopo averla scaricata, magari a giorni di distanza, magari insieme ad altre lezioni in una sorta di pacchetto unico per accelerare i tempi – esclude lo studente da quella esperienza didattica che ho cercato di ricostruire fin qui, necessaria non solo a lui, ma anche a me, e da cui dipende il buon esito della lezione come percorso condiviso. Alle esigenze degli studenti (problemi di connessione, di orario, di condivisione del pc) cerco di rispondere in altro modo: fornendo loro di volta in volta i materiali disponibili sul web che utilizzo a lezione, e rendendomi disponibile a colloqui individuali via skype o a ricevimenti telefonici.
Ma i corsi di Letteratura italiana e di Letteratura italiana moderna e contemporanea restano in diretta: solo così, anche se le lezioni a distanza dovessero proseguire ancora a lungo (cosa che non mi auguro) sarà possibile conservare almeno in parte, pur nella difficoltà di un confronto virtuale, quel setting didattico che considero parte integrante e irrinunciabile del mio lavoro di docente.
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