Forever DaD? – di Salvatore Lavecchia e Luca Taddio
Divulgazione
ELZEVIRO – 24 aprile 2020
Forever DaD?
di Salvatore Lavecchia e Luca Taddio
L’accattivante acronimo “DaD” evoca ciò che la Didattica a Distanza fa percepire in questa crisi: la protezione d’un premuroso daddy contro un’insormontabile difficoltà. La DaD assume questa funzione protettiva, essendo un surrogato di quanto di solito offriamo.
Non si può negare che la DaD sia, appunto, un surrogato: qualcosa che “sta al posto di”. Possiamo chiederci, allora: il surrogato funziona bene come l’originale o è un non innocuo palliativo?
Siamo di fronte a un fatto: la didattica in presenza è sostituibile ma al prezzo d’un calo di qualità, nonché d’una radicale trasformazione dei rapporti fra Università e territorio. Implementando una DaD l’Università si trasforma, infatti, da istanza locale con vocazione universale – il sapere è intrinsecamente universale! – in prodotto standardizzabile e “globalizzabile”, sradicato dal territorio in cui vive, e stimolante relazioni come quelle che abbiamo con Amazon, meno vitali di quelle coltivate con una libreria.
La DaD potrebbe risultare, in certe situazioni future, inevitabile. Ma è ingenuo pensare che ciò sia per forza un vantaggio. Anzi, il vantaggio sarebbe, per il territorio in cui vive un’università, alquanto dubbio: come per un’economia locale è dubbio il vantaggio del minor prezzo richiesto da Amazon. Finché non genereremo dinamiche che rendano certi processi armonici per tutti, pare saggio rallentare quei processi, per trovare equilibri consonanti con ogni territorio. Viviamo, infatti, in territori non in immateriali spazi globali!
Il presente mostra come si stia sempre più consentendo a società private multinazionali l’esercizio d’un potere superiore a quello dei singoli Stati. A differenza dei cittadini-consumatori, quelle società agiscono su scala globale: possono “localizzarsi” liberamente, aggirando le relazioni di diritto-dovere. In tale orizzonte, cosa vieterebbe a due o tre università, dotate di sufficienti potere e finanze, di monopolizzare il “mercato”? Ciò implicherebbe, però, un peggioramento per la qualità della nostra vita, che dipende principalmente da dinamiche territoriali. E questo vale anche per la gran parte delle persone che frequentano i nostri corsi umanistici. In altri termini: noi umanisti di Udine perderemmo la nostra “clientela”, se integrassimo o sostituissimo i nostri corsi con una DaD. Non esiste, infatti, motivazione cogente a partire da cui chi ora viene a frequentare i nostri corsi debba preferire – anche di fronte ad un costo minore – una nostra DaD che li sostituisca. Anzi, quella DaD si perderebbe fra milioni di offerte che altri, più dotati di fama – che non implica qualità – e di risorse per il marketing, possono assicurare.
Resta, dunque, un auspicio: che il ritorno alla normalità sia gestito rispettando l’individualità degli itinerari formativi, considerando i numeri di persone che frequentano i corsi. Quindi si lasci che i corsi di piccole/medie dimensioni riconquistino fisicità, visto che abbiamo gli spazi per farlo, e che non si tratta d’una scelta fra conservazione o progresso ma di una, probabilmente vincente, scommessa imprenditoriale.
Forse la crisi ci insegnerà a “vendere” meglio la dimensione d’autentico incontro peculiare dei nostri corsi umanistici? Val la pena chiederselo, almeno per rispetto verso i tanti giovani che, conoscendoci e apprezzandoci, ora sentono nostalgia per l’incontro e il dialogo con noi: non per quello che assicura DaDdy, ma per quello – meno protetto, e quindi più adulto – che avviene nel calore e nella luce d’uno spazio, d’una città a noi tutti comune.
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