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10 Dicembre 2019

La scoperta dei rilievi assiri di Faida – Rassegna stampa

All'indomani della presentazione dei risultati della missione di scavo nel Kurdistan Iracheno, il prof. Morandi Bonacossi spiega cosa si è ottenuto e in che direzione proseguire in futuro

Sono stati presentati ieri a Roma, nella sede della Regione, i risultati di sette anni di attività di scavo guidate dal prof. Daniele Morandi Bonacossi nel Kurdistan Iracheno – la prima campagna condotta da un'università occidentale in una zona difficile, piagata da guerre e attacchi tra i quali quelli dell'Isis sono solo gli ultimi della lista.

L'équipe italo-curda, attiva nella regione di Duhok (Kurdistan settentrionale) nel quadro del progetto PRID Terra di Ninive, è riuscita a riportare definitivamente alla luce dieci rilievi rupestri assiri (una tipologia monumentale molto rara), scolpiti lungo un canale di irrigazione rinvenuto presso la moderna località di Faida: essi rappresentano il sovrano che aveva fatto realizzare i lavori, Sargon (720–705 a.C.), omaggiato dai principali dèi del pantheon assiro, ciascuno identificato dall'associazione con un animale sacro.

 

L'ubicazione dei rilievi non era una totale novità: già nel 1972 l'archeologo Julian Reade del British Museum era riuscito a identificarne tre. L'instabilità della regione – al tempo campo di battaglia tra Peshmerga curdi e l'esercito del regime baathista – non gli aveva però permesso di procedere oltre, e i rilievi dovettero dunque aspettare l'arrivo degli archeologi italiani per poter essere completamente recuperati.

Il lavoro, però, è tutt'altro che concluso: il sito rischia di trovarsi alla mercé non solo di nuovi scontri militari, ma anche di scavatori clandestini, vandali e degli interessi dei villaggi limitrofi, che potrebbero volersi espandere a suo danno per aumentare la produzione. Sarà dunque necessario ora elaborare strategie di difesa e tutela del patrimonio rinvenuto – e in questo l'Università di Udine punta a definire un modello di ricerca archeologica in grado di coniugare gli aspetti più puramente scientifici con un'archeologia – nelle parole del prof. Morandi Bonacossi – "pubblica", cioè capace di servire anche le comunità locali.