Una questione di sguardi – di Andrea Tabarroni
Insights
ELZEVIRO – 5 MAGGIO 2020
Una questione di sguardi
di Andrea Tabarroni
Fare lezione a distanza vuol dire parlare senza vedere a chi parli — se ti rivolgi a una classe appena numerosa — oppure vedere mentre parli una galleria di volti, in dimensioni più o meno ridotte, e tutti congelati alla medesima distanza virtuale. Tu li vedi, o più spesso non li vedi, soprattutto non li intravedi in quella modalità sfumata, più o meno sgranata, in cui ciascun volto è inserito nella visione collettiva di un gruppo o di un pubblico.
Ne viene che non sai come farti vedere da questi sguardi che non vedi: sei un (imperito) attore davanti all’ottica fredda di una telecamera nello studio vuoto. L’assenza che vedi è una minaccia incombente sul percorso, e sul discorso, che cerchi di protendere nel vuoto.
E dall’altra parte? Forse che ascoltare (e capire) non richiede anch’esso lo sguardo del discorso? L’essere guardato e visto e il sentirsi guardato e visto di chi ascolta da parte di colui che parla?
Non è soltanto una questione di contorno, di buone maniere, di sentirsi a proprio agio. La psicologia dello sguardo ha ormai delineato i confini delle strategie e dei comportamenti percettivi coinvolti nell’apprendimento come processo socio-cognitivo. La ricezione di un nuovo oggetto epistemico richiama una protensione cognitiva che a sua volta si nutre anche di relazioni percettive di natura sociale. È stato Alain Brossard nella sua Psychologie du regard (Neuchâtel – Paris, P.U.F 1992) ad insegnarci che «les fondements du savoir, de la connaissance sont non seulement sociaux d'une part et individuel d'autre part, mais… à l'intérieur de ce rapport à la connaissance, le corps en tant que communicant par la médiation des regards, tient une place prépondérante».
In breve, la didattica è anche una questione di sguardi e lo sguardo, nella sua doppia dimensione del guardare e del sentirsi guardato, passa sempre attraverso il corpo. Se il corpo non è presente, dev’essere surrogato: attraverso il simbolo, l’immagine, l’avatar — ma la relazione subisce un’ulteriore mediazione.
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